Un’arma pericolosa: il menù

Quando i piatti non sono tutto.

A metà ottocento, con l’affermarsi del servizio “Alla russa” tipico della società borghese, si diffuse l’abitudine di far trovare accanto al posto a tavola di ogni commensale un cartoncino scritto a mano o stampato con la lista delle portate che sarebbero state servite. È in quest’epoca che in Italia si iniziò ad usare la parola «Menù».

Si deve tuttavia notare che fino alla fine dell’Ottocento tutto il menù era abitualmente scritto in francese, lingua all’epoca della diplomazia.

Man mano il menù è diventato uno degli strumenti cartacei di vendita più importanti al mondo.

In un ristorante definisce un concetto, un’identità e cosa ancora più importante è il ruolo di comunicazione che esso rappresenta.

Quando si parla di menù, quasi spesso si parla di piatti. Sin dalla scuola alberghiera, quando si affronta tale argomento, si discute di stagionalità, territorio, attrezzature, piatti cosiddetti ever green o della tradizione soffermandosi su quelle che sono le richieste della clientela.

Tutti concetti molto importanti inerenti alla materia del menù engineering e quindi della vendita.

Vendere! È ormai la parola d’ordine, e come biasimare chi ha questa prerogativa, d’altronde, soprattutto in questo periodo di gioco al ribasso, è fondamentale una politica attenta all’incremento delle vendite.

D’altra parte ci si sofferma meno su come presentare questa nostra carta di identità che può determinare la buona o la cattiva sorte del ristorante.

I fattori che incidono nella vendita, infatti, sono tanti ed essendo il menù il primo strumento che si maneggia appena seduti al tavolo di un ristorante, assume un’importanza fondamentale la sua presentazione, prima ancora del contenuto.

Statisticamente il cliente focalizza la sua attenzione sul menù appena consegnato in circa 3 minuti, in questo lasso di tempo ci si gioca tutto.

L’accurato aspetto estetico, la pulizia e una buona descrizione di quello che facciamo oltre ciò che proponiamo è indispensabile.

Nel menù la clientela deve ritrovare tutto lo stile che ha osservato e respirato dall’entrata fino al proprio tavolo.

Uno dei concetti più importanti quando si redige il menù è la coerenza fra la nostra carta delle vivande e la tipologia di ristorante. Stride trovare un menù in carta a mo’ di tovaglietta americana in un bistrot di un hotel a cinque stelle; per quanto la tipologia di snack bar possa essere meno formale, questa tipologia di menù non è consona alla clientela che frequenta un hotel di categoria.

La pulizia è tutto. Un menù, anche se leggermente sporco, offre una pessima immagine del servizio reso. Se qualcosa è sporco in sala, sarà sporco anche in cucina, e se lo è il menù che viene consegnato nelle mani del cliente, lo sarà anche il piatto a livello di percezione psicologica.

Dunque prima di ogni servizio è ottima norma controllare che ogni carta sia perfetta, è dunque importante avere un margine di menù stampati in eccedenza per sostituire quelli che si sporcano durante il servizio.

Una carta non deve essere mai dalle dimensioni troppo grandi, capace di intralciare la vista fra i commensali. Per evitare che ciò accada è meglio utilizzare più pagine di dimensioni ridotte, anche se in linea di massima la tendenza è di sviluppare una lista delle vivande non troppo vasta, per non creare confusione nella mente del cliente. Da qui la regola aurea secondo la quale il menù dovrebbe stare in due pagine, che il cliente vede contemporaneamente, una a destra e una a sinistra. Lista dei dessert a parte.

Il desiderio di non ostacolare le scelte della clientela ha determinato anche la nascita dei menù degustazione: una lista di piatti fissa, capace di esprime a pieno tutta l’anima culinaria di quella realtà ristorativa.

A livello grafico è meglio utilizzare uno sfondo bianco con un carattere ben leggibile di colore scuro. Anche nei menù con una grafica accattivante, in quanto realtà più informali, è comunque importante non affollare troppo lo spazio a disposizione in modo da rendere fluida la lettura da parte del cliente.

Non esagerate con le foto: la fotografia di cibi e pietanze richiede l’intervento di professionisti del settore; per cui è preferibile fare un uso più creativo della grafica piuttosto che utilizzare fotografie che nella maggior parte dei casi possono rivelarsi inadeguate e poco invitanti in quanto scattate in maniera amatoriale. Il menù deve attrarre il cliente!

Se si lavora in un contesto all’aperto, come nel caso di location a pochi metri dal mare, è meglio adottare dei fogli leggermente ricoperti da una patina plastificata o in materiali come il forex che sono lavabili e resistenti alle intemperie e all’umidità.

Per progettare un menù sono fondamentali degli incontri fra direttore, F&B manager, chef, maître, sommelier ed economo. Non sempre esistono tutte queste figure, in base alla tipologia di struttura e alla sua ampiezza, ma ogni rappresentante dei reparti ristorativi può apportare delle idee utili nella creazione dell’offerta gastronomica e della sua relativa rappresentazione grafica e visiva.

Nella redazione è opportuno non scegliere mai nomi molto lunghi per i piatti, accennando agli elementi principali. È opportuno non ripetere gli stessi ingredienti più volte all’interno di un menù fisso, a meno che non sia per un pranzo o una cena a tema. Ancora, purtroppo, in alcuni ristoranti con una mentalità un po’ vintage, ma non per questo corretta, vi sono in carta alcuni piatti scritti al singolare se pur serviti al plurale, quindi mai scrivere dei termini inadeguati come: “Tagliatellina” o “Spaghettino”.

Il prezzo, gli alimenti congelati o i cibi adatti a chi ha intolleranze o allergie vanno segnalati.

Le regole per presentare bene un menù non sono poi così tante: pulizia, praticità, coerenza e semplicità.

E se si ha una bella grafia, perché non scrivere almeno il menù del giorno a mano?

Sarebbe un tocco di vera eleganza.